Un precedente che fa chiarezza rispetto all’attuale situazione e che va in direzione di quanto indicato a più riprese dalla nostra associazione nazionale di categoria Abbac. C’è ora attesa per il pronunciamento del Consiglio di Stato a seguito del ricorso Airbnb. “Con le associazioni dei consumatori avevamo posto la questione a più livelli sinanche alla Corte Europea – ha dichiarato il presidente Agostino Ingenito – Ora ci si avvia a fare chiarezza sul ruolo dei portali e i doveri fiscali e nel rapporto tra host e viaggiatori. Un’inchiesta svedese due mesi fa aveva già costretto Airbnb a comunicare alle autorità fiscali dello stato nord europeo che aveva riscontrato come negli ultimi anni vi fosse registrato un ampio tasso di evasione sui redditi da locazione. Oltre a introdurre il ravvedimento dal 2012 e una esenzione dalle tasse in Svezia fino a un reddito di 40mila corone svedesi (circa 3.900 euro), sono stati rafforzati i controlli sui portali turistici. Nell’ambito di questi controlli, è emerso che molti svedesi non hanno dichiarato i loro redditi Airbnb, ed in particolare la quota pagata attraverso le carte di debito prepagate Payoneer, modalità di pagamento Airbnb ammessa anche per gli host italiani da alcuni anni. La società Payoneer con sede legale a Gilbiterra è stata colloborativa ed ha fornito i dati su tutte le transazioni che erano avvenute con Airbnb. Un precedente che fa tremare in Italia per un’azione simile che è già difatti partita con l’Agenzia delle Entrate che ha emesso i primi accertamenti su gli host che hanno presentato dall’anno d’imposta 2015 delle dichiarazioni incomplete o che non le hanno presentate del tutto. Va ricordato che in caso di omessa o parziale comunicazione fiscale al posto delle sanzioni ordinarie al 30%, si applicano le sanzioni speciali per le dichiarazioni omesse, che vanno dal 120% al 240% delle imposte dovute, e quelle per dichiarazioni infedeli – cioè presentate ma senza dichiarare tutti i redditi – che sono dal 90% al 180% delle imposte dovute. Abbac ha istituito uno sportello per la verifica documentale per le locazioni brevi e per il ravvedimento operoso per chi ha omesso e non versato le cedolari o le tassazioni previste.
I fatti. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato oggi un’interessante sentenza in materia di locazioni brevi. Il caso riguarda la legge belga che obbliga gli intermediari, inclusi i portali di prenotazione, a comunicare all’amministrazione finanziaria i dati degli host e i loro recapiti nonché il numero di pernottamenti e le unità abitative gestite nell’anno precedente al fine di identificare i soggetti debitori di un’imposta regionale sugli esercizi ricettivi turistici e i loro redditi imponibili. A giudizio della Corte, la norma belga ricade nel settore tributario e deve di conseguenza essere considerata esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva sul commercio elettronico, come invece aveva chiesto Airbnb. I portali saranno quindi tenuti a comunicare i dati richiesti dall’amministrazione. La Corte tornerà presto a occuparsi della materia. Oggi a Lussemburgo si svolgerà l’udienza dibattimentale sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato italiano nell’ambito della causa sul decreto-legge n. 50 del 2017, ai sensi del quale i portali devono operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei corrispettivi riscossi per conto delle locazioni brevi non imprenditoriali e devono trasmettere all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai contratti di locazione breve conclusi tramite i portali stessi. Secondo le stime elaborate dal Centro studi che monitora costantemente il mercato online con la collaborazione di tre enti indipendenti (le italiane Incipit Consulting srl e EasyConsulting srl e la statunitense Inside Airbnb), nei cinque anni di mancata applicazione della norma, Airbnb ha omesso di versare imposte per oltre 750 milioni di euro.