La Pastiera: dolce napoletano primaverile per eccellenza

Non c'è Pasqua senza la Pastiera Napoletana...

Ràreca Aps 11/04/2020 0

Lo senti anche tu questo profumo di cannella, vaniglia, limoni e fiori d’arancio?
– Certo, è la primavera!
– No, è a pastiera!!

 

Ingredienti

Per la pastafrolla:

1 kg. di farina italiana

200 gr. di 'nzogna (strutto)  se Pasqua cade in un periodo ancora freddo o di burro

350 gr. di zucchero

4 uova intere

 

Per il ripieno

1 kg. di ricotta di pecora

1 kg. di grano duro non miscelato

1 lt. di latte

 1 kg. di zucchero

15 uova intere

la buccia di 1 limone

cedro candito; arancia candita; zucca candita (la "cucuzzata freccia in alto")

una bustina di vaniglia

una fialetta di acqua di fiori d'arancio

pizzico di cannella (facoltativo - non consigliato dai cultori della Tradizione)

 

Preparazione

Lasciate in una terrina il grano a chicchi immerso nell'acqua per tre giorni cambiando l'acqua al mattino e alla sera. Sciacquate, versate in una pentola contenente abbondante acqua  e cuocete  a fiamma alta fino alla bollitura senza mai aggiungere del sale; raggiunta la bollitura, continuare a cuocere a fuoco basso per un'ora e mezza circa senza mai girarlo. Scolate ed il grano è pronto per la preparazione della pastiera.

Preparate la pasta frolla mescolando tutti gli ingredienti, formate una pagnotta e lasciatela riposare per almeno 24 ore.

Versate in una casseruola: il grano cotto, il latte, il burro e la scorza grattugiata di 1 limone; lasciate cuocere per 10 minuti mescolando spesso finché assume  un aspetto cremoso.

Mischiate a parte la ricotta, lo zucchero, le uova intere, una bustina di vaniglia, l' acqua di fiori d'arancio e, se lo gradite, un pizzico di cannella. Lavorate il tutto fino a rendere l'impasto molto fine. Aggiungete una grattata di buccia di un limone e la frutta candita tagliata a cubetti.

Amalgamate il tutto con il grano.

Distendete l'impasto della pasta frolla con un matterello per ricavare una "pettola" dello spessore di circa 1/2 cm e rivestitevi un "ruoto alto 6 cm. precedentemente imburrato, facendo attenzione a far aderire bene la pasta; ritagliate la parte  eccedente, ristendetela e ricavatene delle strisce larghe circa 1 cm. Queste strisce, oltre a decorare, come detto nella presentazione, la pastiera, servono a controllarne la lievitazione nel forno contenendo il "gonfiore" che deriverà dalla successiva cottura.

Con questa operazione abbiamo ottenuto il recipiente di pasta frolla che accoglierà la farcitura.

Versate nel ruoto rivestito con la pettola, la farcitura prima preparata; livellatela e decorate con le strisce precedentemente ricavate dalla "pettola" di pasta frolla  ed infornate a  200° per un'ora/un'ora e mezzo finché la pastiera non avrà preso un colore ambrato. Una buona cottura consente allo zucchero di far diventare la pastiera quasi lucida ed un po' brillante, dandole un gradevolissimo aspetto.

La pastiera va fatta assestare e asciugare per almeno due giorni e va mangiata, pertanto, fredda.

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Rosario Vitolo 31/05/2021

Anni '50: Altare ligneo della Chiesa del Convento...

Foto degli anni '50 dell'altare ligneo della Chiesa del Convento noto ai Castiglionesi come il "casino".

Convento Francescano che si ritiene risalga almeno al XIV secolo. Nel manufatto di alta ebanisteria alto circa 10 metri si riconoscono un San Francesco e un Sant'Antonio con bambino e due prelati, inoltre al centro, una Madonna in trono con bambino e angeli.

La chiesa dedicata a San Francesco è ancora oggi nel complesso edilizio, chiaramente un convento di frati cappuccini, che pur se modificato negli spazi conserva ancora parte di un porticato quadrangolare con pozzo centrale deputato con un sistema a caduta a portare l'acqua nelle celle intorno.

Vi si trova anche una tipica scala a chiocciola e si riconoscono alcune cellette dei monaci. 

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Ràreca Aps 23/02/2021

"Castiglione"

Fra il verde dei castagni e dei noccioli, 
fra le colline che gli fan da culla, 
a braccia aperte
Castiglione s'adagia,
tutto disteso
a guisa di un bambino,
avente monte Monna
per cuscino.

Prodighe a dissetare ogni passante,
per fontanelle sparse pei rioni, 
limpide e fresche acque sgorganti 
da Mastrocanmpo, Fuorni e Fontanone.

A dritta i resti del Castello,
a manca l'Abbazia
gli aprono il varco
in cui lo sguardo,
di Giovi le colline sorvolando,
va ad ammirare il mare luccicante.

Mario Cerra

Poesia tratta dalla raccolta: "Qualche Volta" osservazioni in versi di Mario Cerra pubblicata il 1 Ottobre 2016 in occasione del suo 90° compleanno

Si ringrazia Angelo De Falco per la condivisione nel gruppo facebook: "Sei di Castiglione del Genovesi se..."

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Ràreca Aps 15/04/2022

Cristo deposto, il gioiello più prezioso del Duomo di Capua

Si presume che il vescovo Erveo diede istruzioni sull’edificazione della cripta, che nell’impianto originario poteva configurarsi come una basilichetta a cinque navate. Senza dubbio il Cristo deposto di Matteo Bottiglieri (1724) è l’opera monumentale maggiormente apprezzata. La scultura è posizionata all’interno di una cappella, più correttamente detta sacello, ridefinita nel corso del XIX secolo ad imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Edificata nella seconda metà del nono secolo, durante la dominazione longobarda, e ricostruita quasi interamente negli anni '50 del novecento in seguito al bombardamento alleato, la chiesa di Santa Maria Assunta è silenziosa testimone di oltre mille anni della nostra storia.

Il Duomo di Capua è uno scrigno di tesori: dall'altare riccamente decorato alla tela dell'Assunta del Solimena. 

Il capolavoro più grande, tuttavia, si trova in disparte, laddove sorgeva una cappella detta sacello: il Cristo deposto del Bottiglieri. Prima di andare all’analisi dell’opera, però, spendiamo qualche parola su un artista così poco conosciuto.

Matteo Bottiglieri nacque nel 1684 a Castiglione dei Genovesi, nel salernitano, ed ivi morì nel 1757. Fece parte del filone berniniano del barocco napoletano.

Oltre al Cristo deposto, di lui si ricordano il notevole contributo all’abbellimento della guglia dell’immacolata in Piazza del Gesù, a Spaccanapoli, la realizzazione del complesso scultoreo della samaritana, nel chiostro della chiesa di San Gregorio Armeno, e di diverse sculture per l’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe Dei Ruffi.

Nel 1733 ha scolpito per il Duomo di Salerno tre opere, che si trovano tuttora sulla balaustra barocca che sovrasta il portico d'ingresso alla chiesa: statue di San Matteo e di due vescovi salernitani, ossia San Bonosio e San Grammazio.

Il Cristo deposto, risalente al 1724, è un’opera non solo di straordinaria bellezza, ma anche di grande significato emozionale.

Steso su un freddo basamento di marmo e malcoperto da un sudario, quello del Bottiglieri è un Gesù privo di lirismo, morto, che non ha più nulla da dire: non vi è dinamismo nel suo corpo, il viso si contrae in un’espressione che non è di dolore e neppure di pace, ben lontana dall’estatica sensazione dell’ascesa al cielo.

Eppure è un’opera che non lascia indifferenti, forse proprio per questo. Cristo manifesta in maniera essenziale il significato del proprio sacrificio: farsi uomo e dimostrare la vicinanza di suo Padre all’umanità.

La statua non sprigiona energia, ma lascia l’amaro in bocca di una tremenda disillusione: è questo il figlio di Dio? Costui è il Salvatore? E non riesce a fuggire la morte?

Non è così: l’umano dolore di Gesù servirà a rendere ancora più trionfale il proprio trionfo sulle forze del male. Il Cristo deposto del Bottiglieri è un pugno in faccia, ma che lascia intravedere un barlume o, perchè no, un oceano di speranza.

Se lo volessimo paragonare ad un’opera dello stesso tema, calzante sarebbe il parallelo con Il compianto sul Cristo morto del Mantegna, dove protagonista è un Gesù segnato, dai piedi sporchi.

Per quanto riguarda la tecnica, invece, la statua più indicata per un confronto è il Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, risalente al 1753 e conservato nella Cappella San Severo, nel cuore di Napoli.

Probabilmente la scultura del Bottiglieri non raggiunge l’apoteosi tecnica dell’opera del Sammartino, ma forse ne ispira lo scalpello, offrendosi come modello per quanto riguardo la magistrale resa delle pieghe della sindone.

Riguardo l’impatto, invece, le due opere non potrebbero essere più diverse: da una parte il disincanto e la concretezza della morte di un uomo, dall’altra la miracolosa leggerezza di un velo che sembra trasparente, pronto per essere squarciato dall’immane ascesa di Cristo, pronto a ricongiungersi con il Padre e con la perfezione del cosmo. E forse la chiave di lettura di entrambe le statue risiede nella differente resa del sudario: da un lato una sindone posta alla rinfusa, a coprire lo scempio arrecato al corpo di un uomo buono, dall’altro un lenzuolo evanescente, effimero, proprio come la venuta di Gesù sulla terra, primo passo del grande progetto del Padre.

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